L’ingresso di quest’opera nella collezione del museo è contestuale all’allestimento di una mostra tenutasi a Grottammare nell’estate del 1999 per rendere omaggio al cantautore Fabrizio De André (Genova, 1940 - Milano, 1999), scomparso l’11 gennaio di quell’anno. L’acquerello si ispira a una delle canzoni italiane più famose del Novecento, La guerra di Piero, composta nel 1964 da De André in collaborazione (per la parte musicale) con Vittorio Centanaro. Inserito nel primo album pubblicato dal cantautore (Tutto Fabrizio De André, 1966), il brano è un inno antimilitarista nel quale emergono esemplarmente alcuni dei tratti più tipici del grande autore genovese: il rigore intellettuale, la voce inconfondibile, l’altissima qualità dei testi.
Il collegamento dell’immagine con la canzone fa leva sugli elementi essenziali e più memorabili di quest’ultima, compresi nella sua strofa iniziale e finale. Lo fa in maniera così diretta che, anche senza conoscerne il titolo, l’associazione risulta immediata. Come è noto, il testo del brano si basa sull’esitazione istintiva del soldato Piero di fronte alla prospettiva innaturale di sparare a un individuo sconosciuto, un “nemico” solo perché indossa una diversa uniforme militare. Questa presa di coscienza così elementare è l’ultima della sua vita, perché le logiche impietose dell’autoconservazione e del “dovere” fanno sì che tocchi a lui essere colpito a morte, finendo “sepolto in un campo di grano”, in mezzo a “mille papaveri rossi”.
A condensare questa canzone nell’immagine concisa e diretta di cui parliamo è stato uno dei più apprezzati illustratori italiani, Franco Matticchio (Varese, 1957), che la realizzò nello stesso anno in cui ottenne uno dei più lusinghieri riconoscimenti professionali, ossia l’incarico di realizzare una copertina per il New Yorker (The Big Bag, 13 dicembre 1999). Ispirato da artisti come René Magritte, Edward Hopper e Roland Topor, l’universo creativo di Matticchio si caratterizza per la coesistenza di elementi fantastici e reali, rovesciamenti tra il mondo umano e quello animale, decontestualizzazioni spiritose, situazioni assurde, combinazioni inesplicabili di figure e oggetti. Emblematico è che il titolo di uno dei suoi libri più importanti, basato sulle strampalate avventure di un gatto antropomorfo, “Mr. Jones”, sia proprio Senza senso (1987). Il suo è un universo così ambiguo che risulterebbe inquietante, se non vi agisse, come contrappeso, un sottofondo di pacato distacco e di placido intimismo, un tocco felpato in grado di attutire ogni senso di alienazione e di dolore.
Anche in questa illustrazione, nonostante il tema tragico venga evidenziato dai pochi tratti essenziali e geometrici che risolvono la silhouette del soldato ucciso, sia il campo di grano reso in delicati toni cromatici che vanno dal beige al marrone tenue, sia i papaveri raffigurati come una sorta di poetica pioggia di macchie rosse, si possono vedere come segni di questa programmatica mitigazione del pathos da parte dell’artista.