Il rapporto di amicizia tra Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 1888 - Milano, 1970) e Pericle Fazzini (Grottammare, 1913 - Roma, 1987) durò oltre trent’anni, interrotto solo dalla morte del letterato. I due si conobbero a Roma nella prima metà degli anni Trenta del Novecento, quando il giovane artista si era già fatto notare come uno dei più originali scultori operanti nella capitale. Di venticinque anni più anziano, il celebrato poeta gli espresse subito benevolenza e stima, dapprima aiutandolo a destreggiarsi nell’ambiente artistico romano, poi accettando di posare per un ritratto destinato a occupare un posto di rilievo nella storia della scultura italiana novecentesca, il Ritratto di Ungaretti (1936), un’opera in legno che si conserva a Roma presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Più tardi, con i mezzi che gli erano propri, Ungaretti dedicò a sua volta un ritratto allo scultore, scrivendo una Presentazione (1951) per il catalogo della sua prima mostra personale. È qui che si trova la nota definizione di Fazzini quale “scultore del vento”, coniata da Ungaretti per sottolineare uno degli aspetti più caratteristici della poetica dell’artista marchigiano; segno tangibile di un rapporto sfaccettato, a più livelli, forse non ancora messo adeguatamente in luce da parte della critica.
Un segnale ulteriore dell’intensità di questo rapporto è l’esistenza di confronti diretti, di vicinanza fisica, tra la poesia ungarettiana e l’arte fazziniana, testimonianze esemplari di quell’incrocio tra scritto e figurato che rappresenta uno degli aspetti più fecondi della cultura italiana novecentesca. Si tratta di tre plaquette edite rispettivamente nel 1945, nel 1965 e nel 1967, ognuna contenente poesie di Ungaretti accanto a incisioni di Fazzini. Nell’ultima di esse, un’edizione in tedesco e italiano pubblicata a Francoforte che porta il titolo bilingue Notizen des Alten. Il taccuino del vecchio, è compresa la litografia con la quale Fazzini ritrasse per l’ultima volta il poeta.
È l’opera di cui parliamo: presenta un Ungaretti seduto, raffigurato come nella scultura giovanile con gli occhi chiusi, omericamente, e così come nel legno del 1936 a occupare la scena sono il volto e le mani di Ungaretti. Qui però l’anziano poeta è aggrappato saldamente al bastone, proiettando un’immagine di senile fragilità fisica che pare sorretta, tuttavia, da un’immutata forza interiore.